venerdì 28 settembre 2007

"Mi è giunto alle orecchie nella melodia più dannatamente bella che ci sia"

"A heart just can't contain all of that empty space. It breaks. It breaks. It breaks..."

"Un cuore non può contenere tutto quello spazio vuoto. Si spezza. Si spezza. Si spezza..."

Quello che manca e vorremmo può far male tanto quanto quello che c'è e non vorremmo. Quando lo spazio vuoto diventa tangibile: questa è la disperazione...

giovedì 27 settembre 2007

"Road To Joy"

Ieri sera ho fatto quello che più mi piace. Sdraiata sul letto, con la luce soffusa, ho ascoltato la mia musica. Adoro ritirarmi nei miei pensieri... No, non fraintendetemi, non intendo dire che i miei pensieri siano speciali. Piuttosto potrei dire che sono come un contenitore; basta saperlo riempire bene...
E' da tempo che lo ascolto. L'ho scoperto nello stesso periodo in cui ho conosciuto i Placebo, solo che, nel farmi prendere dal loro mondo, non ho avuto la possibilità di andare più a fondo. Ora invece che ho assorbito dei Placebo tutto quanto, come una sanguisuga, posso 'concedermi il lusso' di approfondire, diciamo, alcune vecchie conoscenze. Ricordo la prima volta che ho sentito una sua canzone; in realtà la ho al tempo stesso sentita e guardata, attraverso il relativo videoclip. Le immagini completavano la canzone meravigliosamente, ma non era uno di quei casi in cui sono necessari una serie di fotogrammi ben fatti per poter coprire la pochezza di certe note accostate in modo tale da non saper comunicare molto, se spoglie di un supporto visivo.

"First Day of my Life": è il titolo della canzone che mi ha consacrato definitivamente -e già al primo ascolto- nella schiera dei suoi ammiratori. Forse quelle parole, già a partire dal titolo, apparso in sovraimpressione alla fine del video, non erano un caso: this is the first day of my life, glad I didn't die before I met you...

Questo verso continuava a risuonare nella mia testa quasi come se fosse la sigla di un nuovo episodio della mia vita, e a dire il vero non ne avevo tutti i torti.

Nel video lui non compariva. A lungo sono andata avanti ignorando quale fosse il suo volto, quali le sue espressioni mentre canta, quale il suo sguardo perso nell'orizzonte della musica, quali le dita creatrici di tali armonie. Inizialmente non sentivo neanche il bisogno di sapere tutto quanto: la sua voce era così avvolgente da essere già completa. Insomma, lui era le immagini che la sua musica creava e di certo tale bellezza era più che sufficiente per sentirlo 'under my skin', ossia, nell'animo.

Non so il perchè, ma avevo avuto la sensazione che Bright Eyes fosse il nome d'arte di un artista unico, e non quello di una band. Probabilmente ascoltare un'unica chitarra acustica accompagnata da un'unica voce -inconfondibile- mi ha tratto in inganno, anche se poi alla fine non ne avevo tutti i torti. Conor Oberst: è lui i Bright Eyes. E' lui che scrive, è lui che canta e suona. Spesso i suoi testi sono adagiati al di sopra di note provenienti da un solo strumento, per lo più una chitarra acustica; altre volte invece la musica è più composita: ecco che entrano in gioco gli altri Bright Eyes. Questi musicisti però vanno e vengono, a parte uno, Mike Mogis, che fa coppia con Conor sin dall'inizio dei primi anni '90. Visivamente direi che sono proprio loro due i Bright Eyes, ma nella sostanza gli Occhi Splendenti sono quelli di Conor.

Ai tempi, dunque, non mi sono interessata a scoprire che sembianze avesse. L'ho già scritto: non mi serviva; mi sentivo così legata a quella voce e a quel pezzettino della sua arte con cui ero venuta a contatto, che quanto stesse al di fuori di questi confini non contava. Poi però ho dedicato gli anni successivi alla scoperta della mente più sublime della storia del rock (inutile dire che mi sto riferendo a Brian -Molko, s'intende- ) così che, inevitabilmente, tutto il resto è passato in secondo piano. Questo legame, quindi -per i motivi che ho già spiegato- è rimasto latente a lungo, fino a poco tempo fa.

Nel mio mp3 prima, e nel mio i-pod poi, c'è sempre stato uno spazio dedicato ai Bright Eyes: quelle uniche sei magnifiche canzoni che di loro conoscevo le ho sempre amate fino al midollo. Però presto mi sono resa conto che sei erano veramente poche, ed è stato così che prima di partire per le vacanze me ne sono scaricate un'ulteriore cinquantina. Che dire, quest'estate è avvenuta la svolta. Ho scoperto delle canzoni stupende, così piene di anima da sentirmi quasi soffocare per la troppa bellezza. In casa, al mare, non avevo l'accesso ad Internet, non potevo documentarmi sul prodigio che stava avvenendo in me. Però potevo continuare ad ascoltare e a nutrire la mia malinconia di tali suggestive note.
Fin da subito ho amato di Conor la sua voce, e quest'estate ho avuto modo di amarla ogni minuto sempre di più. Non si tratta solo del timbro (su questo aspetto Madre Natura è stata assai generosa): c'è molto di più nella sua voce, molto di più di uno splendido suono.

Innanzi tutto pronuncia l'inglese in maniera sublime (tanto sublime che se l'Anonimo del Sublime fosse stato in vita le avrebbe dedicato un intero capitolo del trattato, eheh!). Come dire... è speciale. Ogni singola parola, per mezzo delle sue labbra, diventa preziosa e affascinante; anche le parole apparentemente meno importanti, come delle semplici congiunzioni, dette da lui assumono un'aura incantata, meravigliosa. La sua voce le modella, le plasma in un modo tutto suo... un modo che a me lascia letteralmente affascinata. Sogno di avere una pronuncia simile, lo sogno spesso (se qualcuno dall'alto mi volesse invece concedere quella di Brian, è ugualmente ben accetta, ihih!). Peccato che i sogni son desideri, ed io non sono Cenerentola.

Ad ogni modo, mi piacerebbe molto andare a fare pratica sul luogo... raggiungerlo in Nebraska (ho trovato finalmente una scusa per andarlo a trovare... la lingua inglese ^_^) e più esattamente nella sua cittadina: Omaha. Ecco, prendiamo ad esempio questa parola: il modo in cui la prinuncia Conor la rende già piena di significato. A me lascia senza fiato... Per non parlare poi di come pronuncia il titolo del suo ultimo album, "Cassadaga" (anche questo nome di città): è capace di farmi raggiungere uno stato di beata esaltazione attraverso un unico suono. Mica male...

Abbiamo appurato che sentirlo parlare mi dà alla testa (nel senso buono del termine)... vogliamo parlare poi di quando la sua voce si interseca col suono delle sue chitarre? Come minimo posso dire che qui accade un'altra magia. Adoro quando sussurra e adoro quando urla. Adoro come scelga di allungare le consonanti e non le vocali. Adoro il suo canto sincopato: la voce tremolante, le frasi spezzate, i fuori tempo così perfetti da renderlo unico. La sua perfezione sta nell'imperfezione manifestata e voluta. La rima è talvolta appositamente non ricercata, talvolta invece ricercata. Quando c'è, è intelligente e sorprendente: non scade mai nella monotonia, anzi, viene utilizzata come potente mezzo per decorare la storia. I testi, di fatti, sono pura poesia. Ogni verso riflette la sua genialità e la sua innata capacità di raccontare, esprimere e osservare. Amo ritrovarmi nelle sue parole, vedere che la pensiamo allo stesso modo; solo che il modo in cui dice le cose è tutt'altro che banale. Non trovate che veder tradotto un proprio pensiero attraverso il filtro della poesia sia di quanto più affascinante si possa chiedere all'arte?

Io amo l'inglese, da sempre. Vedere una persona in grado di servirsene in maniera così acuta è per me un piacere infinito. Letteralmente. Una tale conoscenza della lingua non è per nulla scontata, nemmeno per un madrelingua. Io sono la prima a pensare che dovrei imparare a parlare e a scrivere meglio nella mia lingua. Non tutti siamo dotati della capacità di servirsi di uno strumento alla perfezione, in modo da saperne trarre ogni più piccolo vantaggio. Ci vuole... talento. E Conor ne ha sinceramente da vendere.

...Ho come la strana sensazione che potrei continuare a scrivere di Conor all'infinito. Mi conviene fermarmi qui per ora, prima che faccia notte fonda. Non penso che qualcuno abbia avuto il coraggio di leggere tutto questo post, e posso assolutamente capirlo. D'altronde, molto egoisticamente, sto scrivendo per me stessa. Perciò non ho il diritto di pretendere nulla.

Vi saluto lo stesso. Un bacio.

mercoledì 26 settembre 2007

Primo Post

...Come si inizia un blog?
Di certo non con una domanda.

Inesorabilmente, però, me ne sorge un'altra: perchè ho creato questo spazio?
Per la seconda volta, non saprei bene come rispondere. Così, su due piedi, direi che a spingermi a farlo sia stata forse la voglia di costruire qualcosa di nuovo. Certo, una pagina web non è molto, però simbolicamente potrebbe avere un significato. Si parte da una pagina bianca, spoglia. Le si dà colore, forma, struttura. La si riempie solo di se stessi. Ecco, forse inconsciamente avevo voglia di esprimermi. Forse volevo trovare un posto dove poter annotare quello che mi passa per la testa, senza troppe difficoltà. Forse perchè a volte parto in quarta e inizio a riflettere su cosa voglia dire quello, cosa voglia dire questo... soprattutto con la musica. Ci sono: credo di aver trovato un luogo, seppur virtuale, dove dar sfogo alle mie intricate e stralunate congetture, quelle che, me ne rendo conto, non interessano a nessuno, se non ai 'fanatici' come me.


Certo, di solito un blog è fatto per essere letto da qualcuno che non sia l'autore stesso dei messaggi. Beh, dubito che avrò molti lettori. Anzi, mi piacerebbe tanto sapere quanto tempo passerà prima che dirò a qualcuno di aver aperto questo spazio tutto mio... Per il momento un po' me ne vergogno. Quindi aspetterò.



Comunque non ho intenzione di tenere un diario. Non mi serve e non ne ho il tempo materiale. Piuttosto ho intenzione di usare queste pagine per annotare dei pensieri e per il semplice gusto di ricordarmi di aver pensato questa o quella determinata cosa in questo o quel determinato momento. D'altronde credo mi troverò bene in uno spazio che è del tutto virtuale. Diciamo che sono abituata a non vivere in 3d... (ecco che già parto in osservazioni strampalate... vi avevo avvisato, no?). Mi rifugio in quella dimensione che si chiama musica e non esco più. Ma come si fa a voler abbandonare qualcosa che, seppur usando quello strano strumento che è la contraddizione, riesce a elevarti a un benessere sincero? Come dire: and I sing and sing of awful things, the pleasure that my sadness brings, as my fingers press on to the strings, yet another clumsy chord...



No, questa volta non ho citato i Placebo (sembrerà strano, lo so), bensì Conor Oberst (dei Bright Eyes). So già che avrò modo di parlare della sua incantevole poesia le prossime volte, perciò ora non mi dilungherò inutilmente. Però è doveroso che almeno ve lo mostri (foto a sinistra).

Inutile invece spiegare la prima immagine...
Come ho mostrato all'inizio, una volta completato il lay-out della pagina, non sapevo proprio come iniziare a scrivere. Però una cosa l'avevo ben chiara: sapevo che ci sarebbero stati loro. Insomma, grazie a loro ha anche avuto inizio la persona che sono diventata adesso e, benchè sono sicura che per molti questo sia un male, io sono loro grata. Usando un orribile clichè direi che sono stati per me la scoperta che ti cambia la vita. E benchè sia una frase fatta, non è un'esagerazione. Anzi, oramai sono diventati la mia 'security blanket', la mia coperta di Linus, se così si può tradurre. Ma avrò modo di parlarne fino allo sfinimento, non vi preoccupate.

A presto.