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sabato 13 ottobre 2007

Una Paura, Uno Specchio, Un'Oscurità

Basta un semplice click sull'interruttore del mondo per sentirmi più a mio agio. Sono sola. La casa è vuota, ed io mi sento finalmente libera. Dopo un intero pomeriggio, trascorso con la musica in sottofondo, giunge il tanto atteso tramonto che, come un'ampia tenda color rosso vermiglio, si schiude verso le due estremità, predisponendo la scena a che l'attore principale possa cavalcare il palcoscenico, deliziando gli spettatori con la sua innata maestria: è il buio che ha fatto il suo ingresso.

Sono l'unica spettatrice stasera, perlomeno l'unica in carne ed ossa. Infatti non mi sento in solitudine, anzi, stavo proprio attendendo questo oscuro momento per poter invitare i miei ospiti incorporei a danzare e cantare insieme a me. Mi siedo a terra. Le piastrelle sono fredde, ma stare a contatto col suolo mi ricorda di come sono soggetta alla gravità - "Gravity, no escaping gravity, Gravity, no escaping... not for free", oppure, "I’ve seen a child, he's caught in the sad trap of gravity. He falls from the lowest branch of the apple tree and lands in the grass and weeps for his dignity. Next time he will not aim so high. Yeah, next time, neither will I". Ed inoltre il pavimento è l'ambientazione dei versi di molteplici canzoni, e scegliendolo io stessa come poltrona su cui sedere, non faccio altro che tentare di entrare nella trama di quelle canzoni, come se ne fossi davvero io la protagonista. Un esempio, uno dei miei preferiti a riguardo: "We made love on the living room floor, with the noise in the background from a televised war, and in the deafening pleasure I thought I heard someone say 'If we walk away, they’ll walk away'". Il piacere è assordante, sì. Ma in realtà Conor è altrove...


Il volume è altissimo, eppure io lo alzerei ancora di più, se solo non esistesse l'odiato vicinato. Ma nonostante questa considerazione, non sto facendo cattivi pensieri. Non potrei mai, non ora. Ora ho quello che voglio e mi sento bene. Le tende del soggiorno sono aperte, ma dal giardino di fronte non entra tanta luce: sono al buio lo stesso. Mi viene voglia di benedire questa dannata oscurità... Tutto è molto più gradevole così e anch'io mi sento parte di quel tutto: "Our lives are fractions of a whole". Vedo riflesse sulla parete le ombre delle inferriate che intrappolano le finestre, e mi sento ancora meglio perchè "it's a mirror and a mirror is all it can be": su questi muri vedo il mio destino proiettato, ma tali barriere non mi recludono per il semplice fatto che mi sto vedendo specchiata nella loro essenza... finalmente io ci sono... come potrei mai rinnegare la vera me stessa? Mi sto dissolvendo nelle tenebre e ne sono felice: "My joy is covering me; soon, I will disappear". Che incanto.

Ho messo su Fevers and Mirrors. Anche se nell'arco della giornata l'ho già ascoltato due volte, sento ancora il bisogno di immergermi in questo album. Voglio lasciarmi cullare dalla perla iniziale ( "A Spindle, A Darkness, A Fever And A Necklace") come se fosse la prima volta. La musica fa il suo ingresso in scena poco prima che il bambino -probabilmente messicano- termina la prima parte della sua dolce lettura. Subito dopo, uno splendido dono: Conor. In questa canzone la sua voce è in primo piano e, benchè la melodia che l'accompagna è di quanto più soavemente malinconico esista, sembra che la sua voce la sovrasti in una meravigliosa sovrapposizione. Spesso la sua voce proviene da lontano, oppure da un'adeguata distanza 'scenica'. Qui invece è vicina, così vicina da alimentare il mio desiderio di stargli accanto. E visionaria come sono, lo sento sussurrare alle mie orecchie, e mentre le mie labbra seguono le parole delle strofe, vivo un misto di impersonificazione e di coinvolgimento verosimilmente fisico: è come se stessi cantando tramite la sua voce, in quanto ogni suono che esce dalla mia bocca è muto se visto da una prospettiva esterna, ma è esattamente lo stesso che si sente provenire dalle casse dello stereo, se vissuto dalla mia angolazione, dentro di me, in prima persona. Io divento lui e lui diventa me. Ci fondiamo sino a divenire un'unica realtà, così da pensare ai suoi melodiosi bisbigli come entità realmente esistenti, lì, al mio fianco. Però non saprei ben indicare a quale mio orecchio si sia avvicinato. Sento provenire la sua voce da entrambi i lati, in egual modo. Ma è tutto così vero che mi lascio abbracciare dal tepore delle sue note, incurante di trovar loro una concreta fonte di provenienza. Infatti "all I do is kiss you through the bars of a rhyme": nulla potrebbe raffigurare questo momento in maniera più perfetta di questo ossimoro. D'altronde le emozioni che sto vivendo ora sono contraddittorie e quel verso sembra inserirle in maniera paradossale all'interno della medesima espressione: ecco formato l'ossimoro, 'condicio sine qua non' la mia vita non esisterebbe per nulla.
Ma mi risuonano nella mente ulteriori versi che potrebbero illustrare alla perfezione quello che sto sentendo ora sulla mia pelle, che -vorrei ricordare- essere uno spreco di pelle: "How I wish, how I wish you were here. We're just two lost souls swimming in a fish bowl, year after year, running over the same old ground. What have we found? The same old FEARS. Wish you were here."

Continuo a fluttuare nel buio, benchè abbia ancora i piedi ben piantati a terra. E' il soffice cuscino di note su cui siedo che con un incantesimo, di cui conosco perfettamente la formula, tramuta se stesso in un confortevole tappeto volante e me nella sua gradita ospite. Mentre lascio penetrare nelle mie ossa ogni singola onda sonora che divampa nella buia stanza in cui mi trovo, apro gli occhi. Il buio non è pesto, si intravedono delle forme. Ma non faccio in tempo ad accorgermene che Conor subito me lo fa notare, parlandomi a fior di labbra: "So we imagine a darkness where all shapes divide, solids changing into light, with a burst of heat so bright".Tutt'intorno, oltre a quel gioco di luci (poche) e ombre (molte), si notano i luccichii dello stuolo di orologi che invade la mia sala. Alcune sono rosse come il fuoco, altre più giallognole, ma tali luci custodiscono tutte, senza segreto , la stessa tragica verità: "And these clocks keep unwinding and completely ignore everything that we hate or adore. Once the page of a calendar is turned it’s no more. So tell me then, what was it for? Oh tell me, what was it for?". Anche il pendolo, il cui scintillio nasce dal suo eterno muoversi avanti e indietro, batte come un cuore che invecchia: "Well the clock’s heart it hangs inside its open chest with its hands stretched towards the calendar hanging itself".

La canzone è cambiata e la mia malinconia viene ad essere nutrita di nuovi suadenti versi. Voglio però concludere questo post con una punta di speranza, così da rendere giustizia alla canzone, che termina con queste parole: "but I will not weep for those dying days. For all the ones who've left there's a few that stayed. And they found me here and pulled me from the grass where I was laid".